Il governo di centrodestra, attualmente in carica, miete consensi a livello internazionale. Il premier Meloni è in costante ascesa e sta dimostrando di sapersi destreggiare tra le insidie di casa propria, quelle della propria maggioranza e quelle che le provengono da fuori. È un momento trionfale che rischia di essere rovinato da un’insidia molto pericolosa: il giustizialismo.
Si tratta di una visione forcaiola della giustizia, ancora troppo legata al vecchio MSI, di cui troviamo riscontro in alcune cadute di stile alla Delmastro nonchè in una visione afflittiva del carcere per l’espiazione della colpa invece che per il recupero del reo.
Nel frattempo la riforma della giustizia portata avanti dal ministro Nordio, e approvata dal Parlamento, al di là della facile demagogia e dell’evocazione delle volontà postume di Silvio Berlusconi, è più un “vorrei ma non posso” che una vera riforma strutturale del sistema. L’app voluta dal ministro invece è una pessima idea dalla pessima applicazione pratica, al punto che molti Tribunali hanno deciso di sospenderne l’adozione.
L’assoluzione di Salvini ha portato qualche politico, di presunto genio, a dire: “se ha funzionato per lui, allora la giustizia in Italia funziona per tutti”, senza nemmeno porsi due questioni di fondo.
Primo: la condanna avrebbe trasformato Salvini in un San Sebastiano trafitto dalle frecce, un martire e, dunque, una vittima perfetta per attrarre voti. Operazione altamente sconsigliabile (a detta di molti).
Secondo: nel governo ci sono situazioni che possono generare imbarazzo alla maggioranza e che rischiano di trasformarsi in una “caccia alle streghe” nuocendo all’immagine moderata che la Meloni sta cercando di imprimere a Fratelli d’Italia.
Faccio riferimento al caso Sgarbi. Gestito molto scorrettamente nei confronti del diretto interessato. Sedotto dal consiglio di dimettersi da sottosegretario alla Cultura per una candidatura alle elezioni europee e, successivamente, abbandonato in una campagna elettorale impossibile.
Vittorio Sgarbi è uno degli intellettuali più geniali del Novecento, un nuovo D’Annunzio, che ha alimentato la cronaca con fatti che, siamo sicuri avendolo conosciuto da vicino e frequentato per 20 anni, non sembrano farina del suo sacco.
A questo però si aggiunge anche il caso di Daniela Santanchè, storica amica di Briatore e del Presidente del Senato Ignazio La Russa: il caso Visibilia e non solo, stante questo giustizialismo imperante, sta creando problemi e imbarazzi sia nella maggioranza che nel Partito della Meloni. L’Italia fortunatamente e’ la patria anche di Cesare Beccaria e per ora si è innocenti fino al terzo grado di giustizio. Al netto della stampa che si accanisce e che vorrebbe anticipare gli esiti dei processi in prima pagina, arrivando persino a condizionarne qualcuno.
Sarebbe bello invece che dopo la svolta di Fiuggi di Gianfranco Fini, la Meloni passasse alla storia come quel premier che riesce a mettere una pietra tombale sulla stagione della caccia alle streghe e dei presunti colpevoli sbattuti in prima pagina sui giornali come colpevoli effettivi, stagione apertasi con Tangentopoli e mai chiusa per aprire la stagione in Italia di una nuova destra consapevole, responsabile e matura, in grado di riformare il Paese in senso moderno, lontano dalla propaganda facile.
Il Pontefice ha richiamato con forza il problema della situazione carceraria, il 2025 e’ l’anno del giubileo, non si fa una amnistia da oltre 40 anni. Cui prodest?
L’Amnistia sarebbe la exit strategy che farebbe porre l’attenzione generale e la pubblica opinione su questa svolta importantissima a livello storico di Fratelli d’Italia e toglierebbe pressione rispetto a eventuali rimpasti che si sa quando partono ma non si sa come e dove arrivano, levando acqua allo stagno degli iper giustizialisti che tendono a riempire il proprio vuoto politico con sentimenti che non agevolano il progresso della società’