Gabriele Adinolfi a IlGraffio.net: “E’ l’Europa la mia terza posizione”…
Intervista di Carlo Traggia di Baio a Gabriele Adinolfi
Intervistiamo Gabriele Adinolfi, presidente del centro studi Polaris, giornalista e scrittore, analista geopolitico, considerato intellettuale di riferimento di Casa Pound.
Adinolfi ha un lontano passato, che non rinnega, di militante dell’estrema destra neofascista, di fondatore di Terza Posizione, di latitante in Francia.
Una domanda unica ma che richiede almeno tre risposte distinte: quale è il suo parere di intellettuale militante e analista geopolitico sulla situazione di Roma Capitale (con il Giubileo), dell’Italia (con il governo Meloni) e internazionale (con la nuova presidenza Trump)?
– Ritengo sia stato un errore proclamare Roma Capitale invece di dichiarare il fallimento e richiedere il commissariamento del Comune. Roma è in condizioni pietose.
Nel mio quartiere, che è borghese e centrale (Nomentano-Italia), da tempo immemore, insieme alle buche nei marciapiedi e sul selciato, c’è un marciapiede completamente sconnesso dalle radici di un albero, attorniato da nastri per la sua impraticabilità, ma non ci sono mai stati interventi.
Come sono decenni che non vengono ridipinte le strisce perdonali perché nessuno se ne cura. Le pioggie danno alluvioni perché non vengono puliti i tombini.
Molti dei lavori previsti dal sindaco Gualtieri per il Giubileo sono fermi, con gravi problemi di traffico, e non sono stati conclusi per la scadenza. Roma, in quanto amministrazione, è fallita.
E lo sanno bene gli stessi partiti perché sono venti anni che corrono sperando di perdere le elezioni invece di vincerle.
– Nel novembre 2022 scrivevo che esistevano tutte le condizioni perché il governo di Giorgia Meloni diventasse strategico in campo europeo e internazionale. Ero dunque fiducioso.
Ciononostante sono rimasto stupito per la sua capacità di centrare tutti gli obiettivi, o comunque di intraprendere tutte le battaglie, in modo rapido, coerente e deciso. Tanto di cappello su tutti i posizionamenti internazionali, ma anche sugli orientamenti sindacali, socio-economici e storico-culturali.
C’è da essere fiduciosi e anche orgogliosi per quello che sta realizzando la Meloni. Non ultimo per il suo braccio di ferro con i soviet della Magistratura che sono il retaggio di una strategia togliattiana di soffocamento politico.
La sola nota stonata ai miei occhi è la logica carceraria, favorevole a provvedimenti come il 41 bis o l’ergastolo ostativo. Per tutto il resto sottoscrivo senza esitazioni.
In particolare per le logiche euroafricane, per le aperture all’India e per la fermezza contro l’invasione russa dell’Ucraìna e dell’Europa.
– Di quale Trump dobbiamo parlare?
Se del Trump che incarna la reazione naturale alle derive woke, gender e ai privilegi di casta dei funzionari, è evidente che la sua vittoria (che più precisamente è un tracollo dem verso l’astensione) può avere effetti positivi per un indispensabile e vitale cambio di paradigma.
Tra l’altro se questo comporterà l’apertura alle destre populiste per i futuri governi europei, potrà contribuire al superamento delle loro preoccupanti banalità demegogiche e trasformarle in vettori per ricondurre la politica verso un buon senso pragmatico.
Ma sarà allora necessario che in Francia, in Spagna, in Portogallo, in Germania, queste formazioni chiassose e qualunquiste imparino dal modello italiano, altrimenti resteranno puri e semplici fattori di disturbo e stampelle delle oligarchie progressiste.
Se parliamo del Trump imperialista che vuole affermare la “grandezza americana” a colpi di dazi e di accordi tra boss, la cosa cambia.
La sua logica è pericolosa per tutti, in fin dei conti anche per gli USA che raramente avevano raggiunto un livello di potenza così alto come negli ultimi anni. Con il bastone e la carota si può giocare nel breve, ma se poi si vanno a sabotare le economie europee, canadese, messicana e via dicendo, si rischia di raffirzare solo la Cina.
Staremo a vedere perché Trump ha detto tutto e il contrario di tutto.
Ma sulla sua “pacificazione” in Ucraìna, tanto acclamata, presenta aspetti preoccupanti, a meno che non sia solo il gioco delle tre carte.
Per il momento, anche nell’immaginario, Trump sembra giocare la carta dello Jalta 2.0 dicendo a Putin: “parliamo tra capi” o meglio tra capo e capetto (il moscovita) e decidiamo noi che vincemmo nel 1945.
Ma così facendo salverebbe il Cremlino dal collasso totale. Perché la guerra i russi la stanno abbondantemente perdendo. Il “secondo esercito del mondo” respinto a Kiev, fermo sulle posizioni di 23 mesi fa in Ucraìna, invaso nel Kursk, è incapace di far alzare in volo un aereo per la contraerea ucraìna, con scorte di munizioni in esaurimento e passaggio dal rapporto 5 a 1 di artiglieria a 1,5 a 1.
Con infrastrutture costantemente distrutte tanto che il vicepremier russo, dicasi vicepremier russo, ha detto che, se la guerra finisse ora, ci vorranno non meno di 4 anni per rimettere in piedi una macchina da guerra e che il governatore del Dontesk, dicasi il governatore del Donetsk, ha appena ammesso che la Russia non sarebbe neppure in grado di combattere l”Azerbaijan.
Nel Donbass, che non riescono a rifornire con regolarità per via della sacca di Kursk, che costringe i russi a lunghi percorsi con perdite di tempo di almeno tre settimane, non hanno più blindati.
Il tutto mentre non sanno più neppure dove arruolare soldati: Corea del Nord?
Africa?
E mentre i cinesi li hanno presi alla gola tanto da vendere in perdita.
E ci sono altri effetti collaterali. Mari : i russi hanno regalato il Baltico agli americani, con la perdita di Tartus sono praticamente fuori dal Mediterraneo e hanno difficoltà a raccordarsi con le truppe in Africa. Artico: con la “questione” della Groenlandia rischiano di perdere l’egemonia locale.
E non è tutto.
Da quando hanno soppiantato i francesi in Sahel, hanno perso vari scontri con gli jihadisti che hanno raddoppiato il territorio sotto il loro controllo. Nel 2022 hanno lanciato l’intesa Russia-Africa a cui parteciparono più di quaranta paesi, un anno dopo ne rimanevano tredici. Senza frettolosi accordi di pace, i russi probabilmente crollerebbero entro l’autunno.
Ma Trump sembra volerli salvare per ricompensarli dell’aver combattuto una guerra che ha reso l’economia e la politica americana forti come non lo erano da quattro decenni, oltre ad aver resuscitato e rinforzato la Nato.
Così si prepara a spartire le terre rare del Donbass con il Cremlino.
Terre rare il cui sfruttamento era stato concordato con Kiev a favore dell’industria e della tecnologia europee nel luglio 2021.
La sete di conquista russa si accese immediatamente dopo benché in Donbass ci fosse praticamente la pace da due anni. L’ufficio Nato di Mosca (ci si dimentica che la Russia era associata esterna dell’Alleanza) fu chiuso solo il novembre successivo. Sembra un accordo mafioso russoamericano.
Come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato ma s’indovina spesso. Quindi esiste sia un Trump positivo che un Trump negativo e pericoloso.
Tutto sta a vedere come si posizioneranno gli europei in questi quattro anni. E qui, una volta di più, la posizione di Giorgia Meloni risulterà centrale.
Di cosa si occupano il Centro Studi Polaris e il movimento dei Lanzichenecchi?
Il Centro Studi Polaris si occupa di analisi e proposte in campo economico, sociale, geopolitico, è trasversale e ha visto partecipare ai suoi convengni non solo politici e sindacalisti bipartisan, non solo imprenditori ma rappresentatnti dell’OSCE, dell’Onu e diplomatici di varie nazioni, dall’Ungheria alla Turchia.
I Lanzichenecchi d’Europa non sono un movimento ma un’associazione che potermmo definire fratria che si dedica alla formazione in più lingue e alla coesione in diverse nazioni per la creazione di un vero e proprio sovranismo europeo. Se qualcuno volesse delucidazioni su Polaris o sui Lanzichenecchi può scrivermi a ga@gabrieleadinolfi.it