Principe Roberto Focas: “Sono monarchico, ma il re lo faccio io”
Intervista al Principe Roberto Focas.
Sua Altezza Reale e Imperiale il Principe Don Roberto Spreti Malmesi Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno di Cappadocia, Bisanzio, Cefalonia e Taranto questi i cognomi e le giuste titolature principali dell’aristocratico romagnolo tarantino ma residente in Svizzera, che intervistiamo.
Cosa vuol dire essere principe oggi?
E quale pensa debba essere il ruolo delle famiglie storiche nella società moderna?
Essere principe oggi è totalmente diverso rispetto al passato: non significa più godere di rendite di posizione o privilegi ereditari, ma essere pronti ad assumere un ruolo di responsabilità culturale, morale e sociale.
La nobiltà non è mai stata una classe chiusa, ma mai come in questo tempo deve identificarsi come classe aperta, in entrata e in uscita, dove la distinzione si misura non più per diritto di nascita, ma per meriti, cultura e impegno nel servizio alla comunità.
Le famiglie storiche hanno il dovere di preservare la memoria e il patrimonio culturale che rappresentano, ma anche di essere punti di riferimento per le nuove generazioni, promuovendo l’educazione, la solidarietà e la leadership basata sull’umiltà.
Un nobile oggi deve essere, prima di tutto, un esempio di dedizione e servizio agli altri, un leader che ispira attraverso l’azione concreta e non attraverso titoli o tradizioni fini a sé stesse.
Per tali ragioni, oggi non vedo negativamente che il principe, il nobile, seguendo questa linea ideale, possa diventare anche un punto di riferimento politico, purché ciò avvenga con consapevolezza e preparazione.
Lei è gran maestro dell’Ordine Ospitaliero cristiano ecumenico dedicato a Santa Elena Imperatrice e presidente dell’Unione della Nobiltà dell’Impero Romano e dell’Ecumene Ortodossa.
Di cosa si occupano?
L’Ordine Ospitaliero di Sant’Elena Imperatrice, di collazione famigliare, è uno degli ultimi ordini cavallereschi storicamente femminili, dove le donne occupano per statuto un ruolo di governo e di guida.
Questo aspetto è fondamentale perché riflette un’eredità cavalleresca che riconosce alla donna un ruolo attivo nella costruzione di una società più giusta e solidale.
L’Ordine si impegna in opere di assistenza, beneficenza e dialogo interreligioso, con una particolare attenzione all’ecumenismo e alla tutela della dignità umana.
Oltre a portare avanti i principi cristiani della carità e dell’accoglienza, promuove una visione della cavalleria come impegno etico e sociale, aperto al mondo moderno.
L’Unione della Nobiltà dell’Impero Romano e dell’Ecumene Ortodossa (già Unione della Nobiltà Bizantina), invece, ha il compito di preservare il patrimonio storico e culturale della tradizione bizantina e di mantenere vivo il valore della nobiltà come servizio alla comunità.
Questo significa non solo proteggere il passato, ma anche essere attori del presente, con progetti di sostegno alla cultura, alla formazione e alla ricerca storica.
Fra i suoi illustri avi, fra i più recenti, troviamo il marchese Vittorio Spreti, che ha realizzato l’Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, primo e insuperato punto di riferimento per gli studiosi di queste materie.
Il marchese Vittorio Spreti ha lasciato un’eredità culturale di inestimabile valore con la sua Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, che ancora oggi è un punto di riferimento per studiosi, storici e genealogisti.
Il suo lavoro è stato un esempio concreto di come la nobiltà non debba essere un concetto astratto, ma un impegno intellettuale e civile. Questo mi ha insegnato che il valore della tradizione risiede non nel semplice conservatorismo, ma nella sua capacità di dialogare con il presente, contribuendo alla crescita culturale della società.
Tengo a precisare che è allo studio l’ambizioso progetto di una riedizione aggiornata dell’Enciclopedia: desideriamo che la stessa rimanga uno strumento di consultazione completo, rigoroso ed autorevole, anche per le generazioni future.
Lei si sente politicamente schierato? Si ritiene monarchico?
Sono certamente monarchico… a patto che il monarca sia il sottoscritto! Ovviamente scherzo, ma il punto è serio: l’esperienza di una politica popolare e non aristocratica – nel senso originario del governo dei migliori – ha portato sicuramente alcuni interessanti progressi e una decisa democratizzazione, ma ha anche prodotto un gran numero di “improvvisati”.
Troppo spesso si pensa che per fare politica basti maneggiare con competenza i social, al pari di una qualsiasi influencer (altro mistero dell’involuzione umana), mentre invece servono studio, preparazione e visione di lungo termine.
Non basta raccogliere consensi effimeri, bisogna formarsi, conoscere la storia, le dinamiche economiche e sociali, e solo allora si può assumere un ruolo di guida.
La politica ha bisogno di leader veri, non di protagonisti da palcoscenico digitale.
Come docente universitario esperto di bioetica, cosa dovrebbero fare le istituzioni a tutela della vita, della natura e dell’ambiente?
Le istituzioni devono adottare una visione integrata della bioetica che tenga conto non solo delle questioni mediche e scientifiche, ma anche delle sfide poste dalle nuove tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale (AI).
Negli ultimi anni ho approfondito le nuove normative europee in merito all’AI, con un focus particolare sugli aspetti bioetici e sui diritti umani.
La regolamentazione di queste tecnologie deve garantire che l’innovazione non comprometta la dignità dell’uomo, la sua autodeterminazione e il rispetto della vita in tutte le sue forme.
È necessario un approccio cautelativo e responsabile, che bilanci progresso e tutela dei valori etici fondamentali.
Parallelamente, le istituzioni dovrebbero rafforzare l’educazione bioetica, formando nuove generazioni di scienziati, giuristi e professionisti che possano affrontare con competenza queste tematiche.
L’etica non deve essere percepita come un ostacolo al progresso, ma come una bussola per una crescita sostenibile e giusta.
Oltre a essere principe e professore, lei è, innanzitutto, un solido imprenditore internazionale, impegnato in diversi settori.
Cosa consiglia ai giovani che devono scegliere quale strada intraprendere?
Il mondo di oggi richiede determinazione, flessibilità e preparazione culturale. Il consiglio che do ai giovani è di non basare le proprie scelte su ciò che è immediato e semplice, ma su ciò che li appassiona davvero.
Non bisogna temere il sacrificio: il successo arriva a chi sa investire in sé stesso e nella propria formazione.
Produrre valore è perfino più importante che produrre reddito: significa anche riconoscere il valore del fattore umano, che è ciò che determina il successo, anche in un’epoca di sovrabbondanza tecnologica.
Le macchine e l’AI possono essere strumenti potenti, ma senza intuizione, empatia e visione, l’essere umano rimane insostituibile.
È il capitale umano che fa la differenza tra una società che cresce e una che si perde nel mero tecnicismo.