Di Gianni Feltri
Nei salotti della politica romana, in particolare in un noto think tank frequentato da lobbysti, giornalisti (spesso di destra) e politici (soprattutto di destra), si mormora sempre più insistentemente sulle difficoltà della classe dirigente di Fratelli d’Italia. Il problema, secondo queste indiscrezioni, non riguarda solo i livelli parlamentari o locali, ma arriva fino al cuore del potere: Palazzo Chigi. Anche nei riguardi dei fedelissimi della premier, cresce il malcontento sulla gestione delle leve del comando.
L’ascesa rapidissima di Fratelli d’Italia ha costretto Giorgia Meloni a riempire posizioni di potere in tempi record, favorendo la nomina di figure di fiducia più che di comprovata esperienza amministrativa. Le conseguenze? Una macchina governativa che stenta sui dossier più scottanti e una filiera decisionale meno efficace del previsto.
Le critiche che circolano nei corridoi del potere, dopo il caso Almasri e le servizi segreti, sono molteplici. Da un lato, ci sono ministri e sottosegretari che stentano a ritagliarsi un ruolo di primo piano e si limitano a eseguire le direttive della premier senza una visione autonoma. Dall’altro, i consiglieri e tecnici più vicini a Meloni sembrano spesso inadeguati a gestire il peso delle sfide governative. Questo accresce la tendenza della premier ad accentrarsi sempre più decisioni, con il rischio di sovraccaricarsi e di isolarsi politicamente.
Non è la prima volta che un partito in forte crescita si trova a dover fare i conti con una classe dirigente inesperta. Tuttavia, nel caso di Fratelli d’Italia, la questione è aggravata dalla storia stessa della destra italiana, per anni relegata ai margini della politica nazionale e con un bacino ristretto di amministratori competenti. Inoltre, il criterio della fedeltà ha spesso prevalso su quello della capacità, portando oggi a una situazione di evidente fragilità.
Per Meloni, il vero nodo da sciogliere è chiaro: rafforzare la squadra di governo prima che le tensioni interne e le difficoltà amministrative diventino un boomerang politico. Se non riuscirà a trovare un equilibrio, le critiche che oggi rimbalzano nei salotti romani potrebbero trasformarsi presto in un problema ben più ampio, capace di minare la solidità del suo consenso. Cosa che in parte sta già accadendo. La prova del nove? Il successo, o meno, dei dossier bancari. Da qui passerà, oppure no, la tenuta del governo.