(di Cesare Scotoni)
C’è agitazione nel formicaio. E non sono solo i dazi a provocarla e nemmeno la pretesa di quel 3% del P.I.L. da destinarsi alla difesa su cui nella NATO siamo tutti impegnati da 70 anni, pur con una scarsa propensione da parte di alcuni. Vi è qualcosa d’altro che agita le classi dirigenti di alcuni Paesi questa parte dell’Atlantico dal 20 gennaio scorso. Ed i cui riverberi non avevano attirato l’attenzione di alcuno fino al 10 giugno 2024 nel G7 italiano presieduto da Giorgia Meloni. L’Era Clinton finiva lì, nella magica luce di un tramonto salentino. Il 24 marzo 1998 la trasformazione della NATO in altro da ciò che era, avviata unilateralmente e con un cinico dato di fatto dall’azionista di maggioranza. Contro l’Unione Europea uscita da Maastricht e contro l’idea stessa di una moneta che potesse essere un’alternativa per i Mercati al Dollaro USA. Chiarendo una volta di più se fosse servito il ruolo che, in un quadro globale gli USA riservavano a quell’ONU che avevano fondato nel 1945, con un netto cambio di Governance e Finalità rispetto a quella Società delle Nazioni voluta da Wilson nel 1920 ed a cui non avevano aderito.
L’aggressione alla Serbia, intrapresa con il bombardamento di Belgrado da parte di alcuni Paesi appartenenti alla NATO e sferrata dal suolo italiano e con l’intervento italiano senza neanche fingere di voler attendere una qualche parvenza di legittimità fu solo la prima di tante guerre “umanitarie e giuste”” scelte con attenzione sullo scenario globale. Fu in quell’occasione che si utilizzarono su suolo europeo i proiettili a uranio impoverito le cui polveri costarono poi la salute e la vita a molti soldati italiani lì inviati dal Governo D’Alema con Sergio Mattarella Ministro alla Difesa con Delega ai Servizi. E si chiarì agli alleati come potevano far fronte alle proprie maldigerite obbligazioni di bilancio verso quella che fino allora era stata solo un’alleanza difensiva di mutuo soccorso militare che univa parte degli sconfitti e dei vincitori del secondo conflitto mondiale.
Gli USA hanno una sfida aperta con la Cina sul Pacifico che a partire dal viaggio di Nixon a Pechino fino ai primi 10 anni dall’ingresso di quell’economia nel WTO poteva essere importante, ma non in grado di impensierire le ambizioni globali degli USA che si limitavano a strategie di contenimento. Quando però la corsa alle risorse portò la Cina ad investire in portaerei oltre che in infrastrutture la musica cambiò. Il Progetto “Silk’s Belt” (Via della Seta) con gli investimenti infrastrutturali all’estero da parte di quel Paese che puntavano all’Europa ed il ruolo crescente del mercato cinese per alcuni Paesi dell’Unione Europea spinsero quindi l’amministrazione Obama a reagire in modo più incisivo ed aprendo più punti di attrito che minassero quelle ambizioni. Lo stesso intervento russo in Siria fu più che funzionale a quelle preoccupazioni USA ed alla titubanza ad intervenire da parte degli Alleati dell’Unione Europea. Cambiò però tutto nel rapporto con l’Unione con la cessione dell’8% dell’Ucraina rappresentato ufficialmente da “terre coltivabili” ad una multinazionale cinese dell’agricoltura e l’ingresso di aziende cinesi nei porti del Mediterraneo contestualmente al “cambio” su dimensioni e pescaggio nelle navi portacontainer di quel grande Paese campione dell’export e della logistica. Erano i giorni del “Fuck EU” della Victoria Nuland a Geoffrey Pyatt a Kiev e dello scontro tra Berlino e Londra sui destini di quel Paese.
Solo che son passati 10 anni ed i risultati disastrosi del tentativo ormai fallito e portato convintamente avanti da una parte della classe dirigente europea di usare la NATO per assicurarsi un allargamento ad EST funzionale all’export ed alla crescita dei rispettivi paesi e di usare il gas russo per essere concorrenziali all’economia USA oppure anche di sfidare Londra nella NATO dopo averla spinta fuori dalla UE sono sotto gli occhi di tutti. Con la nuova amministrazione USA che ha inscenato la diretta TV e la rappresentazione con il Presidente ed il Vice Presidente che congedavano Zelen’skij dalla Casa Bianca perché, avendo gli USA archiviato Biden e gli interessi di cui quello era portatore, si rivolgesse piuttosto ai suoi mandanti europei.
La nuova Amministrazione non crede che la difesa del dollaro possa essere solo “rating” del debito e soldati in missione all’estero e crede invece non possa prescindere da una crescita che sia legata al mantenimento di una leadership tutta da costruirsi con tecnologie ed innovazione. Questo, in un’Unione Europea che dal 2010 ha contrastato la Roma degli Accordi del 2004 puntando tutto sullo Spread e sui Rating del debito prima e con
le bombe in Libia poi ed ora scopre il “Debito Comune” proposto da Giulio Tremonti nel 2010 giusto in tempo per salvare un’economia tedesca è destabilizzante. Sia per l’Unione Europea che per l’Euro. A Roma intanto la Meloni ha ereditato proprio dal Draghi che fu al servizio del Progetto che ora affonda, la rete di obbligazioni che ha portato l’Unione Europea a perdere il proprio “appeal” verso investitori ed elettori, è vincolata con Parigi dal “Patto del Quirinale” del 2021, cerca di tenere socchiusa la porta con Mosca e Pechino con il “Piano Mattei” ed a fronte delle infedeltà dei partner fondatori nel 2011 non può che tenersi ben stretta, finché c’è, l’Alleanza Atlantica. Il cui azionista di riferimento è presente in più vesti come forza militare nel nostro Paese. Se poi il 3% alla Difesa, che a tanti andava stretto, dovesse magari portare fatturato e utili alle nostre aziende, il riportare l’ENI, Telecom e qualcosa d’altro nella sfera pubblica e riprendere il controllo sulle tariffe, potrebbe essere una cosa da fare in un momento in cui la forza di Bruxelles la si trova solo nelle chiacchiere di Macron.